#lamiaestate

La mia estate più bella l’ho trascorsa in provincia di Salerno. Indossavo una salopette di jeans, che non toglievo mai e -quindi- non lavavo mai. Credo fosse la fine degli anni ’90 del Novecento e già si delineava uno dei capisaldi del mio carattere: la divisa dell’estate. Nell’armadio ho centinaia di magliette e di shorts ma alla fine indosso sempre la stessa roba. Passavo il tempo a voler essere come mia sorella, più grande e più disinibita. Ma non ero da solo. Con me c’era la mia più cara amica, che mi ha sempre detto che quella salopette dopo due giorni tendeva a puzzare, almeno d’estate.

La mia estate più brutta si è svolta nello stesso luogo. Scappavo da un incrocio all’altro del paese nella speranza di non incrociare nessuno. Incredibile come lo stesso luogo possa celare gioie e dolori. La felicità non è matematica. Non si arriva allo stesso risultato se sommi luogo e amica del cuore. Le persone cambiano. Io per primo ero cambiato all’inizio degli anni 2000. Non ho più vissuto una bella estate, finché non mi sono fidanzato e ho condiviso una parte importante della mia vita: la Sardegna, dove l’aroma delle viscere arrosto si mescola con il suono dell’infrangersi delle onde sul bagnasciuga.

L’estate attuale è ben strana. Metà delle mie giornate le trascorro con due cani che ospito a casa mia. I cani sono come i figli: impegnativi! Il maschio non fa che pisciare dappertutto mentre la femmina abbaia anche alle ombre. Tuttavia, la compagnia canina è la migliore. Torni a casa e ti saltano addosso, vai in bagno e gli manchi, ti sdrai cinque minuti e vengono a leccarti la faccia. Comunque, se non sei una persona equilibrata li ammazzi prima del tempo. A me piace arrivare a fine giornata e accoccolarmi vicino ad un cane, per il quale rappresenti tutto. Gli animali tendono ad avere la facoltà di guarirti e di farti sentire importante.

A proposito di guarigione, l’altra metà delle mie giornate la passo al reparto oncologia del Mauriziano di Torino. Deprimente? Di primo acchito. Poi, impari a guardare oltre l’aspetto malridotto dei pazienti e riesci a vedere esclusivamente la forza che emanano. È come se dai loro occhi sgorgasse un fiume di virtute antico e misterioso. Ma quando non ho le facoltà mentali di sopportare la vista di tanto dolore, raggiungo il corridoio Rosselli dell’ospedale e mi chiudo nella stanza del silenzio, un posto inondato di luce dove regna la parola scritta. Ovunque si può leggere qualche frase ispiratrice. Confortante. Forse non sarà l’estate più bella della mia vita ma ho l’impressione di affinare degli strumenti che mi serviranno nelle prossime estati o nelle prossime vite o in altri mondi.

In realtà, il 23 settembre finirà il mondo. Così dicono… Se così fosse, sono esattamente dove vorrei essere e con chi dovrei essere. Se fosse la mia ultima estate, c’è qualcosa che vorrei prima che finisse: vedere le stelle cadere per esprimere un desiderio: indossare ancora la salopette di jeans degli anni ’90 del secolo scorso e correre lungo viali acciottolati insieme ad un’amica fino ad arrivare al cimitero dove i miei nonni paterni sono sepolti e sentirmi a casa, riscontrando la mia somiglianza con quelle fotografie sbiadite in bianco e nero.

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